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Il  mentoring e la dispersione scolastica

Un approccio che può essere efficace, se ben strutturato

Ulisse, prima della partenza, affida il figlio Telemaco all’amico e consigliere Mentor, che assume un ruolo di guida e sostegno per il giovane principe. Mentor, pur essendo persona saggia ed esperta, è poco efficace nel suo compito, tanto da costringere la dea Atena a prenderne più volte le sembianze,  per dare un supporto efficace al giovane, pur senza rivelarsi .

Oggi, grazie ai fondi del PNRR, affidiamo i nostri giovani in condizione di particolare “fragilità, motivazionale e/o nelle discipline di studio (e quindi a rischio di abbandono)” a Mentor “professionisti” che offrono loro un supporto one-to-one.

L’ampiezza della sfida emerge considerando alcuni elementi in gioco:

  • I mentee: segnalati tra quanti mostrano un approccio all’apprendimento caratterizzato da scarsa motivazione, apatia, difficoltà relazionali e disinteresse per tutto ciò che concerne il contesto scolastico, oppure tra quanti hanno tante difficoltà negli apprendimenti da farli considerare a rischio dispersione;
  • Il tempo: solo 20 ore scandite con la rigidità dei cicli scolastici;
  • La famiglie: i luoghi dove spesso si matura il disagio e che nel PNRR sono considerate, ma solo per altri tipi di interventi;
  • I consigli di classe, con docenti sfiduciati rispetto alla possibilità di “raggiungere” proprio questi soggetti più in difficoltà.

In questo contesto, spesso ricco di conflitti e incomprensioni, si vuole favorire una relazione educativa descritta in letteratura come “una connessione speciale e significativa tra  mentore e mentee, basata sulla fiducia, sul rispetto reciproco e sull’impegno a sostenere lo sviluppo personale e professionale del mentee”.

È chiaro che il Mentor deve avere molte “qualità”,  che spaziano dalle competenze nell’ambito della relazione e dell’ascolto e dell’intelligenza emotiva (a partire dal proprio equilibrio personale), alle competenze metacognitive, a quelle di Storytelling e di Orientamento. Tuttavia le sue qualità da sole non bastano, neanche quando unite a una forte motivazione: per risuonare occorre essere in due e agire in un contesto sereno.

Cosa possiamo fare, dunque, per mettere in campo efficaci iniziative di mentoring scolastico? 

Come primo punto, dobbiamo centrarci sugli studenti, sulla loro opinione e sui loro desideri. Dobbiamo dare loro la possibilità di riconoscere il proprio bisogno e di scegliere il proprio mentor. Pensiamoci: ognuno di noi ha avuto uno o più mentor nella vita, ma a nessuno (spero) è capitato di sentire qualcosa del tipo:  “Io sono il tuo mentor. Tu hai bisogno di me”.

Dobbiamo quindi prevedere una fase inziale di match in cui mentor e mentee si scelgono a vicenda. State pensando che è impossibile? Che stiamo parlando di giovani di 12, 14, 16 anni al massimo? Richiamate allora alla mente il termine fiducia: se non riponiamo fiducia nelle possibilità dei nostri giovani abbiamo già perso in partenza. 

State pensando alla burocrazia, alle griglie di valutazione, ai template? Richiamate allora alla mente il vostro perché. Perché avete scelto questo mestiere? Non certo per fare i burocrati. Ritornate, dunque, a progettare partendo dalle necessità e non dai vincoli.

Supponiamo ora che siate riusciti a organizzare gli abbinamenti potenzialmente migliori e che i vostri mentor siano pronti a lavorare. Abbiamo tutti piuttosto chiari gli aspetti relazionali che caratterizzano le relazioni di mentoring:

  • Ascolto profondo: Il mentore dimostra un ascolto attivo ed empatico nei confronti del mentee: comprende i suoi punti di vista, le sue emozioni e le sue esigenze;
  • Fiducia reciproca: Il mentee si sente a proprio agio nel condividere le proprie sfide, speranze e paure, sapendo che non sarà giudicato;  allo stesso tempo, il mentore crede nelle capacità e nel potenziale del mentee;
  • Modellamento: Il mentore guida il mentee, offrendo saggezza, esperienza e competenze; condivide le proprie esperienze e offre consigli pratici; fornisce un modello di riferimento per il successo personale e formativo;
  • Sostegno e supporto: Il mentore incoraggia il suo mentee; lo aiuta nella definizione dei suoi obiettivi e nel riconoscimento delle sue qualità; lo guida nella risoluzione dei problemi; fa in modo che si senta supportato nel percorso di crescita;
  • Sfida e valutazione: Il mentore sfida il mentee a raggiungere il suo pieno potenziale; lo stimola a superare gli ostacoli; gli offre feedback costruttivi per sviluppare la sua  consapevolezza lungo il percorso.

Si pone tuttavia la questione dei contenuti. Di cosa parlano nei loro incontri? Delle difficoltà di vita in generale? Dei problemi percepiti nel contesto familiare e scolastico? La strada non è quella giusta, perché la relazione va a incardinarsi troppo nell’aiuto psicologico tout court, così come nelle previsioni di alcune scuole che sono alla ricerca di psicologi e counselor. Dobbiamo,  invece, ricordare che si tratta di un aiuto allo studio, con contenuti legati agli apprendimenti disciplinari, all’approccio e al metodo di studio, in cui il mentor offre un modello di apprendimento efficace.

Supponiamo, adesso,  che la relazione di mentoring sia partita sotto i migliori auspici, con un elevato benessere e un buon rapporto di fiducia. Dobbiamo affrontare, in modo preventivo, un nuovo rischio, che riguarda l’“attaccamento” verso il mentor (che abbiamo scelto proprio perché dotato di super poteri) che potrebbe essere percepito come “alternativa” ai modelli ritrovati a scuola e quindi un’ulteriore conferma dell’ “infelice” relazione educativa con i docenti istituzionali. Per evitare tutto questo, occorre rafforzare l’alleanza pedagogica tra mentor, mentee, insegnanti e genitori e centrare quindi la relazione sui valori. Il mentor si fa portavoce dei valori della scuola, valori che il giovane riconosce anche nei suoi insegnanti.

Il mentor, quindi,  lavora in relazione individuale con il suo mentee, prevalentemente nell’extra scuola ma è in stretto contatto con il consiglio di classe (attraverso il coordinatore), la famiglia  (attraverso un adulto di riferimento), il team per la prevenzione della dispersione. Se ritiene opportuno, lavora con l’intero gruppo classe o prevede iniziative nel piccolo gruppo con altre coppie di mentor-mentee.

Il mentor, dunque, non lavora da solo, ma (anche attraverso gli strumenti di documentazione previsti) è in costante relazione con il team per la prevenzione della dispersione e con il consiglio di classe, dei quali condivide valori e visione; svolge altresì il ruolo di facilitatore, di “ponte” con la famiglia. Anche se non direttamente coinvolti, i genitori del ragazzo sono in stretto contatto con il mentor;  anche loro imparano qualcosa; contribuiscono nel creare una rete di supporto solida e coesa per lo studente.

È evidente quindi la necessità di un ruolo specifico di coordinamento. Affinché le azioni di mentoring nella scuola siano efficaci devono essere ben strutturare e prevedere un Referente che:

  • Monitora, attraverso la documentazione prevista, le singole relazioni di mentoring;
  • Conduce momenti riflessivi di gruppo, in cui, periodicamente, ci si incontra per superare le difficoltà emerse;  per imparare a tollerare le situazioni difficili e la destabilizzazione continua derivante dal confronto con giovani portatori di disagio e sofferenza;
  • Raccoglie e condivide con tutta la comunità educante (dirigente, team per la dispersione, genitori, docenti, mentori) le lezioni apprese.

Insomma, il fattore critico di successo delle iniziative di mentoring a costrasto della dispersione scolastica consiste nella capacità delle scuole di accogliere la coppia mentor-mentee come agente di cambiamento del contesto di riferimento del giovane in difficoltà (la famiglia, i professori, i compagni, la classe intera). Il disagio, il ritirarsi, l’allontanarsi, infatti, riguardano la comunità e non il singolo individuo.  Ogni qualvolta si cerchi di “affidare” il disagio di un giovane per il quale si è rotta la relazione di fiducia con il contesto educante a qualcun “altro” perché poi lo restituisca in qualche modo “riparato”,  non solo si è persa un’occasione, ma i risultati ottenuti (quando ci saranno) non potranno che essere “effimeri”.

Su questa linea noi di Ed-work stiamo lavorando, affiancando una realtà difficile e coraggiosa: presto vi racconteremo qualcosa di più.

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