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La scuola, tra creatività e disuguaglianze

Riportiamo qui l’articolo scritto per CIAI, nel contesto del progetto #tu6scuola.

Lanzara definisce Capacità negativa quella:


“Capacità di essere nell’incertezza (…) di accettare  momenti di indeterminatezza e assenza di direzione e di cogliere le potenzialità di comprensione e  di azione che possono rivelarsi in tali momenti”.  

Lanzara

Ci sembra un buon modo di descrivere quello che in questi mesi di lockdown è successo alla scuola italiana. Davanti alla crisi e all’incertezza, invece dell’immobilismo, in molti casi, ha prevalso la  creatività. Ogni comunità scolastica ha messo in campo tutte le risorse di cui disponeva con un  solo obiettivo: mantenere la scuola nella vita dei ragazzi e delle ragazze in un momento così  difficile. 

Uno sforzo nato da una consapevolezza: la scuola non è soltanto un luogo di apprendimento, ma di  crescita e di legami. E mantenere quei legami ha rappresentato un obiettivo così importante da  generare nuove soluzioni e mettere da parte chiusure e rigidità.  

Se da un lato la crisi ha originato risposte resilienti da parte della comunità scolastica, dall’altro ha  anche acuito le disuguaglianze esistenti: mai come in questi mesi il digital divide ha fatto sentire il  suo peso nella vita di tutti noi ed in particolare delle ragazze e dei bambini; così come la  disuguaglianza economica, la povertà, i deficit linguistici e di apprendimento.  Abbiamo visto i solchi della disuguaglianza ingrandirsi sempre più: le classi si sono divise fra  studenti che avevano la possibilità di frequentare la nuova modalità di scuola a distanza e tanti  altri, per cui questa possibilità non è stata scontata.

Bambini e bambine in famiglie numerose con  spazi abitativi ristretti ed un solo device a disposizione, ragazzi e ragazze che abitano periferie e  centri extraurbani, prima costretti a stare ore sui (pochi) mezzi pubblici per raggiungere le scuole e  ora impossibilitati a seguire le lezioni online per assenza di connessione. Poi ci sono i tanti e le  tante bambini/e e ragazzi/e disabili o con bisogni educativi speciali che nella scuola online non  hanno trovato il proprio posto; così come i tanti e le tante appena arrivati in Italia, per cui lo scoglio  linguistico, a distanza, ha rappresentato un ostacolo insormontabile. 

Non abbiamo ancora le stime dell’abbandono scolastico ma sappiamo bene che troppi di loro in  questi mesi sono rimasti indietro. Per ripartire, la scuola non può che farlo da qui.  

Ricominciamo da tre  

Si ma come? È questa la domanda che soprattutto in questi giorni toglie il sonno a chi sta già  programmando nelle scuole le attività di settembre. Come ripartire? Si tornerà a scuola tutti  insieme? In presenza? A distanza? In quali spazi? Con quali modalità? 

Giulia Tosoni, co-founder di Ed-Work, che ora lavora come responsabile della scuola CIA Manzoni  di Milano per il contrasto all’abbandono scolastico, ai suoi studenti ad inizio anno raccomanda di  non intraprendere il rientro a scuola come un partire da zero, cancellando il passato e tutto ciò che  li ha portati lì, ma di provare, come diceva Troisi, a “ricominciare da tre”, tenendo a mente le tre  cose belle, di un passato spesso burrascoso, da portare in questo nuovo inizio. Ci sembra un buon  consiglio anche per il rientro a scuola: troppo spesso davanti a riforme e programmi nella scuola si ha la sensazione di ripartire da zero, e questo vale anche per il post Covid19. Ma la scuola in questi  mesi è cambiata e si è innovata, ha adottato strategie e messo in campo soluzioni.  Proviamo dunque a “ricominciare da tre”, anche in questo caso:  

1. Il ruolo della tecnologia: il balzo tecnologico compiuto dalla scuola durante il lockdown è stato  sensazionale. In preda al desiderio di rimanere vicini, nonostante le distanze, si è sperimentato un  gran numero di strumenti, applicazioni, programmi, prima quasi del tutto assenti dal panorama  scolastico. Cogliere questo elemento di novità vuol dire organizzarlo e renderlo efficace,  puntando a formare insegnanti e operatori non sulle singole funzionalità dei programmi ma su  l’infinita gamma di strumenti potenzialmente a disposizione della scuola, che possono essere  utilizzati per innovare la didattica e l’organizzazione scolastica.  

2. Il secondo punto parte proprio da qui: questa nuova modalità di scuola ha, forse per la prima  volta in maniera così massiccia, allargato l’orizzonte della didattica tradizionale, puntando  l’attenzione sulla possibilità di fare scuola in modi e con strumenti diversi. Video, immagini, lavori in  piccoli gruppi, lezioni meno lunghe e con orari meno pensanti, attività diverse dalla lezione  frontale, sono soltanto alcune delle possibilità che questa crisi ha portato a sperimentare. Anche  qui, elaborando quello che è successo in una chiave propositiva, si potrebbe sfruttare questa  occasione per rinnovare finalmente il modo di fare scuola, in un’ottica più interattiva, cooperativa  ed inclusiva che punti ad ampliare la gamma di strumenti e di fonti attraverso cui è possibile  imparare. Non soltanto il libro, la penna e il foglio, ma anche nuovi linguaggi più vicini agli studenti. 

3. La scuola come comunità di crescita. Mai come in questi mesi è stato chiaro il ruolo che la scuola  ha nella vita dei ragazzi e delle ragazze. Non si tratta più soltanto di trasmettere le conoscenze  necessarie all’apprendimento, ma di accompagnare gli studenti in un percorso di crescita,  sviluppando le loro capacità, prima fra tutte quella “ad aspirare”, di cui parla Appadurai, premessa  per lo sviluppo di tutte le altre capacità, in quanto necessaria per riconoscere la propria  condizione e cambiare la propria vita.  

Questo vuol dire non considerare gli studenti soltanto come alunni ma guardarli come persone,  che al suono della campanella devono affrontare ostacoli, paure e sfide del presente e del futuro,  spesso in totale solitudine. Accompagnare questo percorso di crescita vuol dire costruire alleanze:  prima di tutto con le famiglie, con cui in questo periodo si è rinnovata una complicità, fatta di azioni  quotidiane che avevano l’obiettivo di fissare regole e limiti indispensabili non solo alla fruizione  della scuola a distanza, ma anche alla crescita. È il momento ora di puntare sulla cura di questa  comunità, negli anni troppo spesso abbandonata, fatta dalle famiglie ma anche da operatori,  educatori ed educatrici, realtà del terzo settore, centri sportivi, biblioteche. Tutte realtà e persone  che hanno ruoli educativi e che la scuola come comunità deve guidare in questo percorso di rete e  valorizzazione reciproca.  

#TU6SCUOLA e i laboratori SaltaClasse: un esempio di  innovazione 

Si può puntare sull’innovazione in un momento di crisi e incertezza? Non è meglio “riportare i remi  in barca” e attendere la fine del temporale? Rispondere a questa domanda non è semplice ma è  quello che stiamo provando a fare in queste settimane programmando le attività dei laboratori  SaltaClasse per il prossimo anno. 

I laboratori SaltaClasse sono una delle azioni del più ampio progetto nazionale #tu6scuola,  finanziato da Con i Bambini, capofila CIAI onlus, che coinvolge diversi soggetti e organizzazioni  con l’obiettivo di proporre un nuovo modello educativo per contrastare la dispersione scolastica  degli studenti nella fascia 11-14 anni di età. Si sviluppa in 5 regioni e 6 territori: Milano, Rovellasca,  Città di Castello, Ancona, Bari e Palermo. 

I SaltaClasse prendono il nome dall’idea di creare delle classi aperte composte da gruppi misti  nell’ottica di favorire l’apprendimento cooperativo e di scompaginare dinamiche di gruppo  esistenti, puntando su elementi come l’interdisciplinarietà, la didattica ludica e interattiva, il lavoro  di gruppo collaborativo e l’utilizzo di strumenti multimediali nell’ottica di stimolare la creatività e  l’espressione artistica.  

I ragazzi e le ragazze coinvolti nel progetto in questi anni sono diventati scrittori creativi,  sceneggiatori, attori, costumisti, sociologi che immaginano gli scenari futuri, hanno mescolato temi  e saperi, hanno imparato facendo e sperimentando. L’obiettivo è di ri-motivarli alla scuola,  all’apprendimento e orientarli verso il futuro, cambiando le modalità più tradizionali e trasmissive  di fare scuola. 

Come portare avanti queste innovazioni nel nuovo scenario? Reagire ad una crisi può voler dire  cogliere la spinta al cambiamento che questa ha generato e farne tesoro. Ed è proprio quello a cui  puntiamo: incanalare positivamente le spinte ad innovare la didattica, accompagnare insegnanti ed  operatori in un percorso di formazione e riflessione che porti ad immaginare e creare una scuola  più flessibile e preparata ad affrontare cambiamenti e scenari futuri.  

Ma innovare il modo di fare scuola vuol dire prima di tutto mettere al centro i ragazzi e le ragazze  coi loro vissuti. E per farlo è necessario partire dall’elaborazione di quanto accaduto, del periodo  di solitudine e cambio di abitudini che ciascuno ha vissuto. È fondamentale investire del tempo a scuola per riflettere sul periodo del lockdown, dare uno spazio a ragazze e ragazzi, bambini e  bambine per esprimersi sui propri stati d’animo.

Se non è la scuola a dargli questa possibilità, molti di loro semplicemente non lo faranno e questo segnerà le loro vite, il loro presente e futuro.

La  scuola è il luogo dove elaborare insieme, come comunità, il trauma vissuto, facendo capire ai  ragazzi e alle ragazze quanto è importante, in situazioni come queste, fermarsi e prendersi del  tempo per ascoltarsi e capirsi. Sarebbe stato bello dedicare un ipotetico ultimo giorno di scuola a  questo: guardarsi nuovamente negli occhi, riconoscersi, dopo mesi passati davanti ad uno schermo.  A settembre, non perdiamo questa occasione.

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